Quando cerchiamo una persona importante per la nostra azienda o per la nostra vita vorremmo essere sicuri di aver fatto la scelta migliore. Ma è sempre un bene avere tante opzioni? Qual è il momento in cui sarebbe meglio interrompere la ricerca? E come risolverebbe questo problema un famoso matematico come John Nash?
Immagina questa situazione: tuo figlio vuole un consiglio. Ha appena compiuto 28 anni e sta già pensando a mettere su famiglia. E’ fidanzato con una ragazza da 2 anni. La sua prima fidanzata. “Sono innamorato papà” ti dice, “Ma ci sono problemi tra noi e non riusciamo a risolverli. Forse dovrei provare a conoscere qualcun altro.” In sostanza, tuo figlio si chiede se potrebbe essere più felice con un’altra donna. Deve continuare a cercare? Anche a costo di perdere la donna che ama? Tu sei perplesso. O forse hai già una risposta. Quello che probabilmente non sai è che questo tipo problema appassiona i matematici fin da quando – nel 1949 – Merrill Flood lo propose alla comunità scientifica col nome di “Problema della segretaria”. Il più famoso studioso ad essersi occupato di questo quesito è il matematico John Forbes Nash jr., interpretato sul grande schermo da Russell Crowe nel film “A Beautiful Mind”.
Il “Problema della segretaria” è frequente nella ricerca del personale: ci accontentiamo del candidato che abbiamo già trovato o continuiamo a cercare? E’ il candidato ad essere inadatto o siamo noi ad avere standard esageratamene alti? E se stiamo comprando casa, prendiamo quella che ci piace adesso o aspettiamo di trovarne una migliore? Gli esempi potrebbero continuare: il problema del “Optimal Stopping” – il momento giusto in cui smettere di cercare – è uno dei più comuni della nostra vita. Se l’obiettivo è quello di fare la scelta migliore due sono le strategie da evitare: scegliere subito e non scegliere mai. Parliamo del secondo caso con la storia di Giovanni e quella di Elena.
Giovanni lo aveva sempre saputo. Primo o poi sarebbe successo. 53 anni, bell’uomo, un po’ di pancetta, brizzolato, una vita in azienda, finalmente ha l’occasione di guidare la filiale italiana di una grande multinazionale come Amministratore Delegato. E’ stato appena assunto: adesso è il momento di scegliersi un team. Il direttore commerciale lo prende subito dall’azienda dove lavorava prima. E’ un amico, si conoscono da una vita ed è anche bravo. Per il resto del team incarica le risorse umane di iniziare la ricerca: ma sarà lui a fare tutti i colloqui. Siamo a ottobre e sarebbe meglio trovarli subito in modo di partire a gennaio con un team già completo. Fortunatamente i curriculum arrivano a centinaia. Ma il tempo passa è lui non assume. Siamo ad agosto – 10 mesi dopo – e il team non è ancora completo. A quel punto il CEO americano dell’azienda suggerisce che sia qualcun altro a occuparsi di completare le assunzioni. E’ un piccolo fallimento che Giovanni non vuole mai più ripetere.
Elena ha 30 anni. Mora, 175, viso elegante e occhi di un blu particolarmente acceso. Quando cammina per strada gli uomini la seguono con lo sguardo. Architetto sulla carta: ma non le interessa questa professione. Perché Elena è un’attrice. O almeno questo è il lavoro che sogna. Dopo una parte minore in un film importante ci sono stati solo spettacoli teatrali. “E’ difficile vivere di teatro” dice. E se la sua vita professionale è ricca di avventure quella sentimentale non è da meno. Ha avuto tante storie d’amore. “Con la persona giusta deve funzionare tutto in modo naturale”. Passa il tempo. Passano gli amori. Vent’anni dopo Elena è ancora di una bellezza speciale. Una cinquantenne affascinante e piena di interessi con un velo di tristezza che la rende ancora più intrigante. Forse gli uomini non si girano per strada come una volta ma gli ammiratori continuano ad esserci. Non ha sfondato come attrice e adesso lavora nel reparto marketing di una azienda di telecomunicazioni. “Preferisco non parlarne” dice. E invece parla degli uomini che l’hanno amata nel passato. Completamente. Appassionatamente. C’è n’era uno in particolare. Si chiamava Mauro. E lei vorrebbe ritornare indietro nel tempo: perché lo ha lasciato? Stavano così bene insieme! La imbarazza confessarlo ma vent’anni fa aveva pensato che lui “non fosse abbastanza per lei”. E invece non ci sarà mai più un amore così bello. O almeno questo è quello che lei teme. Ma Elena s’innamorerà ancora. E sarà bello, anche se diverso dall’amore dei 30anni. Quello che invece nessuno le potrà mai ridare è il tempo, quel periodo tra i 30 e i 50 in cui avrebbe voluto un compagno accanto a sé, quel periodo della sua vita in cui nessun uomo era mai abbastanza.
Per Giovanni, come per Elena, nessuno era mai all’altezza. Giovanni cercava il manager perfetto. Elena pretendeva il compagno ideale. Per Giovanni, come per Elena, era molto facile trovare nuovi “candidati”. E Giovanni, come Elena, razionalizzava la situazione pensando di vedere “candidati” inadatti quando forse erano le sue aspettative ad essere irrealistiche. Giovanni ed Elena rappresentano un estremo. Ci ricordano che una sovrabbondanza di “candidati” può portare a una situazione di stallo in cui non scegliamo mai. D’altra parte c’è anche chi sottovaluta quello che ha da offrire e assume con troppa facilità la prima persona che ha i requisiti sulla carta per un certo lavoro. Quindi qual è la soluzione?
Secondo la teoria dei giochi di Nash dobbiamo pensare a due fasi distinte. La prima fase serve a fare esperienza e a capire cosa possiamo aspettarci: la cosa migliore è conoscere un certo numero di candidati, diciamo da 4 a 7. Nella seconda fase ci scegliamo subito la prima persona che ci piace più di tutte quelle che abbiamo conosciuto fino ad ora.
Ovviamente nella vita le cose sono molto più complicate, ma la soluzione di Nash ci da un suggerimento che vale la pena prendere in considerazione: c’è un periodo in cui è importante fare esperienza e un altro in cui è importante essere disposti a impegnarsi. A volte ci si impegna troppo presto e ci si rende conto di dover fare da adulti quelle esperienze che non abbiamo fatto prima. Altre volte entrambe le fasi vanno ripetute perché nel frattempo siamo noi ad essere cresciuti e cambiati.